La sintesi dei principali avvenimenti finanziari

 

Settimana determinata sui mercati finanziari dalle decisioni del FOMC, il comitato di politica monetaria della Federal Reserve, che ha scelto di lasciare inalterati i tassi di riferimento USA. Grande era l’attesa per la riunione del 29 e 30 gennaio scorso, dopo che il presidente della banca centrale americana Powell aveva in più occasioni rimarcato la necessità di proseguire il graduale rialzo dei tassi, rintuzzato su tale argomento da Trump, in un inusuale confronto da alcuni interpretato come un tentativo di minare l’indipendenza della politica monetaria della Fed rispetto alle decisioni politiche dell’esecutivo. Il comunicato conclusivo dei lavori del FOMC non sembra preoccuparsi molto di questo aspetto: oltre a confermare il livello attuale del Federal Funds Target Range, innalzato di 25 bps nella riunione di metà dicembre, il comitato si impegna ad essere “paziente” rispetto a futuri rialzi dei tassi, non cita più la dicitura “approssimativamente bilanciate” tra le preoccupazioni rispetto alla crescita e quelle rispetto all’inflazione – lasciando intendere, secondo i più, che le prime stanno aumentando rispetto alle seconde – e introduce un concetto di “flessibilità” nella progressiva “normalizzazione” del bilancio della banca centrale, il termine dietro al quale si nasconde la dismissione delle obbligazioni e dei titoli di stato acquistati con i programmi di quantitative easing.  Insomma, una vera svolta da “colomba” per Powell o forse semplicemente l’introduzione di una nota attendista che mira ad assumere dati più certi sull’economia reale prima di compiere ulteriori scelte di politica monetaria.

Certo è che le conclusioni del FOMC hanno dato una spinta rialzista all’indice S&P 500 che, unita a buoni dati sull’occupazione nei giorni seguenti e ad anticipazioni positive sulle trimestrali delle aziende hanno permesso a Wall Street di chiudere il miglior gennaio dal 1987 e il miglior rendimento mensile dal 2015.

In Europa la spinta al rialzo “importata” dagli USA si è in qualche modo mitigata sul finire della settimana in seguito alla diffusione dei dati sul PIL, particolarmente negativi per l’Italia, che entra tecnicamente in recessione con il secondo trimestre consecutivo di crescita reale negativa, e successivamente alla pubblicazione degli indici PMI manifatturieri. Questi ultimi hanno mostrato un andamento eterogeneo tra le economie dell’eurozona, con una crescita del dato spagnolo, una sostanziale stabilità in zona ancora espansiva di quello francese, un leggero calo dell’indice tedesco che già il mese precedente era sceso sotto la soglia dei 50 punti e un calo ben più marcato del dato italiano, che tocca 47.8 punti.

Sulla scorta di questi dati, l’indice Eurostoxx 50 ha quindi chiuso la settimana più o meno in parità, nonostante risultati negativi delle borse tedesca, spagnola e italiana a cui si è contrapposto un rialzo di Parigi. Sui tassi, leggera pressione al rialzo sull’Italia, frutto della combinazione di dati negativi di PIL e PMI, che si è contrapposta a un generale ribasso delle altre curve e quindi ha portato a un peggioramento della dinamica dello spread BTP-Bund, tornato in area 260 punti dopo aver toccato i 240 a fine gennaio.

Poco da segnalare sui mercati delle divise e delle materie prime, salvo la discesa della sterlina britannica contro euro, cui peraltro si è accompagnato un brillante risultato del listino inglese, salito nella settimana di oltre tre punti percentuali.