minibond: un cantiere in costruzione

Intervista all’Amministratore Delegato di Zenit SGR, Marco Rosati, durante il workshop della sessione pomeridiana del convegno di Banca Finanza denominato Finanziare la ripresa: le sfide del credito alle imprese, organizzato il 23 Giugno a Torino al Castello del Valentino. La tavola rotonda aveva come tema: La ristrutturazione dei debiti bancari delle imprese tra credit crunch e nuove normative.

 

Le difficoltà di accesso al credito bancario dovrebbero favorire il ricordo ad altre forme di finanziamento?

“Un dato che mi ha colpito moltissimo è che in Italia c’è un’impresa ogni dieci abitanti e in Piemonte addirittura ogni nove. Credo sia una situazione, mi lasci passare il termine, un pò “ridicola”: calcolando anche bambini e anziani, non può esserci un’impresa ogni dieci abitanti. In un tessuto industriale cosi parcellizzato è impossibile creare una seria possibilità di accedere a fonti di finanziamento che siano sostenibili dal punto di vista economico. Una pratica da 10 o 50 mila euro costa cara. Che venga visionata da tre – quattro attori diversi è esagerato: ne basterebbe uno. Ma al di là delle distorsioni tipicamente italiane, i costi fissi non sono comprimibili. E poi, per le microimprese non esiste altro che il credito bancario.
Il secondo punto rilevante è che queste aziende sono sotto capitalizzate. Del resto esiste un malcostume tipico degli imprenditori italiani: mettere in azienda meno soldi possibile.”

Ma quanto possono funzionare i nuovi sistemi di finanziamento alternativi al credito bancario?

“Minibond, private equity, collocamenti in Borsa: sono tutti strumenti che vanno benissimo. Però, guardando alle strategie di medio e lungo termine e all’operatività di un fondo di private equity, quello che in gergo si chiama ticket di investimento, non può essere inferiore ai 5-10 milioni di euro, altrimenti sarebbe antieconomico.
Quindi, fino a quando non nascono aziende che hanno dimensioni maggiori, difficilmente i fondi potranno entrare in modo sistematico. Era iniziato un certo processo, poi la grande crisi del 2008 lo ha paralizzato. Oggi, con la riscoperta dell’Italia qualche nuova operazione c’è.
E il private rimane la strada maestra per rafforzare patrimonialmente le aziende, ma chi investe pretende che venga cambiata la governance e che nelle Pmi non esista più la commistione tra famiglia e azienda.”

Qual è il futuro dei minibond?

“Anche in questo caso, almeno noi, non ci sognamo neppure di fare investimenti da qualche centinaio di migliaia di euro. Sotto i 2 milioni non c’è convenienza. Detto questo, il mercato dei minibond ha avuto una partenza lenta e quando è stato lanciato, nel 2012, aziende e operatori finanziari avevano altri problemi da risolvere. Oggi la situazione si è un pò stabilizzata. Ma un bond, per avere senso, dovrebbe avere una durata di ameno quattro-cinque anni e per un investitore istituzionale che deve tenere bloccati i suoi soldi per un lungo periodo in uno strumento spesso illiquido, sebbene sia nato il mercato extraMot, un tasso del 5%-6% non è remunerativo. Anche se la forte riduzione del costo del denaro operata dalla Bce sta facendo diminuire le pretese del mercato.
Detto questo, non condivido gli interventi legislativi che tendono a semplificare troppo l’accesso a questi strumenti. Le cose vanno fatte in modo serio e trasparente. E anche l’imprenditore che vuole emettere dei bond dovrebbe quotare le obbligazioni all’extraMot. Il costo è contenuto (2.500) ma è un indice di serietà e di responsabilità.

 

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