minibond: nell’economia reale, si investe così

Far affluire denaro all’economia reale è il compito del sistema bancario, cinghia di trasmissione tra le politiche monetarie delle Banche centrali e le imprese. Negli ultimi anni c’è stato un processo di disintermediazione che sta portando ormai molti fondi d’investimento a sopperire ai problemi del sistema bancario (italiano ma non solo) facendosi controparte di progetti di finanziamento e di partecipazione azionaria d’imprese nei vari settori, dalle infrastrutture all’industria, dai servizi al digitale. Quasi tutti questi fondi sono accessibili solamente a investitori istituzionali, tuttavia vi sono anche succedanei quotati in Borsa che possono, se non far affluire direttamente capitali alle imprese, quantomeno permettere di investire approfittando dei trend in atto.

MINIBOND E PRIVATE DEBT

Il mercato dei cosiddetti minibond è nato e si è sviluppato grazie ad alcune normative ad hoc introdotte tra il 2012 e il 2013 che hanno equiparato le obbligazioni emesse da società quotate a quelle delle PMI non quotate cui poi si sono aggiunti sia un segmento di negoziazione messo a disposizione da Borsa italiana (ExtraMot Pro) sia il Fondo centrale di garanzia che tutela gli investitori che v’investono purché l’emittente sia una PMI italiana. Ma anche alcune finanziarie regionali (per esempio Finlombarda) si stanno muovendo in tal senso, supportando le imprese che nella regione di appartenenza investono e creano lavoro. In tempi di credit crunch e di difficoltà da parte delle o banche di finanziare le piccole e medie imprese, questi nuovi strumenti rappresentano quindi un’importante fonte di finanziamento per aziende sane e che abbiano voglia di continuare a crescere e investire. Gli investitori istituzionali non sembrano mancare e la logica può essere duplice: da una parte la costituzione di fondi di investimento, ma destinati però solamente a operatori istituzionali, che operano in una logica di portafoglio assumendo numerose posizioni, dall’altra quella del fondo di private debt che, non potendo per legge finanziare direttamente l’impresa, ne rileva in toto il prestito obbligazionario emesso per l’occasione.

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MA QUALI SONO LE DIMENSIONI DI QUESTO SETTORE?

<<Stiamo parlando di un mercato che conta circa 180 emissioni per un controvalore di circa 6,5 miliardi di euro, ma se ci focalizziamo su quelle inferiori ai 50 milioni di euro controvalore, le emissioni sono più di 130 per un importo complessivo di 1,5 miliardi>> fa il punto Giovanni Scrofani, responsabile del Fondo Progetto MiniBond Italia di Zenit Sgr. <<L’emissione media sì situa quindi intorno ai 10-15 milioni, con un rendimento intorno al 5,5-6%. Prevalentemente si tratta di società non quotate che operano in campo industriale, con fatturati tra i 10 e i 100 milioni e con una localizzazione nel nord Italia>>.

E LE MOTIVAZIONI DELL’OPERAZIONE?

<<Nei due terzi dei casi si tratta di emissioni di debito tese a finanziare la crescita interna, raccogliere cioè risorse per sostenere la crescita con nuovi prodotti o in nuovi mercati, mentre la parte rimanente è distribuita tra crescita esterna, cioè per nuove acquisizioni, per diversificare e rimodulare le fonti di finanziamento uscendo quindi dalla dipendenza con gli istituti di credito e in minima parte per finanziare il circolante>>, continua Scrofani <<da parte nostra investiamo in PMI con bilanci certificati e rating, con rapporti debt/ebtda inferiore a 4 volte, debt/equity sotto le 2 volte e una margine di ebitda superiore al 5%. Oltre che ovviamente con un progetto di crescita sostenibile e credibile>>.

 

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