la sfida dei minibond

“È stato calcolato che negli ultimi anni, il sistema bancario ha ridotto di un centinaio di miliardi le erogazioni alle imprese. E dovrà continuare in questa riduzione – intorno, secondo alcune stime ai 50 miliardi nel 2014-2015 – anche se la Bce facesse altre operazioni Tltro (finanziamenti a lungo termine). Ci sarà pure il quantitative easing di Draghi, ma i criteri di Basilea restano: i vincoli patrimoniali stringent e l’assorbimento di capitale maggiore sui prestiti renderanno sempre più arduo per gli istituti di credito finanziare le imprese”. La previsione, piuttosto fosca, è di Marco Rosati, amministratore delegato di Zenit sgr. “In questo scenario, gli imprenditori dovranno per forza di cose rivolgersi a forme di investimento alternativo a quello bancario, il private equity o le emissioni obbligazionarie, soprattutto i minibond. Una vera rivoluzione, soprattutto per le Pmi, che fino a poco fa dipendevano esclusivamente dalle banche per i finanziamenti. Oggi l’azienda che vuole crescere può accedere anche al mercato dei capitali”

Rosati ha creduto fin da subito ai nuovi strumenti che il governo Monti ha messo a disposizione delle medie e piccole realtà italiane, prima impossibilitate a emettere prestiti obbligazionari. Infatti Zenit, a fine 2013, ha creato uno strumento di quel genere, Progetto minibond Italia (pmi). È un fondo d’investimento chiuso destinato agli investitori istituzionali, che ha come advisor Adbe si avvale del supporto di varie istituzioni finanziarie, banche del territorio, fondazioni assicurazioni, altre sgr. Ha l’obiettivo di investire nei minibond con una durata fra i tre e i cinque anni, acquistando solo una parte (e dunque mai la totalità) dei titoli emessi da una singola Pmi, seguendo le logiche tipiche dei fondi obbligazionari, con particolare attenzione alla diversificazione geografica, settoriale e di emittente, con un costante e attento monitoraggio del rischio.

Zenit, poi, destinerà una percentuale delle proprie commissioni sul fondo all’associazione onlus Casa Oz, i cui volontari si mettono a disposizione delle famiglie in cui c’è un bambino ammalato, offrendo accoglienza, sostegno, assistenza.

Come sta andando la raccolta del fondo? Quali sono le difficoltà che ha incontrato Progetto minibond Italia? E che prospettive apre questo nuovo strumento per gli investitori e le imprese? BancaFinanza ne ha parlato, appunto, con Rosati.

A che punto è Progetto minibond Italia? A luglio arriviamo a una prima chiusura. Per l’ammontare esatto stiamo ancora aspettando che qualche investitore comunichi gli importi esatti. Penso comunque che supereremo i 50 milioni. Al di là del vostro e di altri fondi già sul mercato, non pensa che ci sia un certo ritardo? Si è parlato tanto di minibond, banche e sgr hanno preparato strumenti dedicati, ma poi è successo poco…

No, non penso proprio che ci siano stati dei ritardi. Qualche rallentamento forse è avvenuto all’inizio: dalla legge del governo Monti nel 2012 alle prime iniziative che poi sono partite è trascorso un anno. La normativa è stata, comunque, varata in una situazione di grandissima incertezza complessiva. Tutti avevano altre preoccupazioni, nel mondo bancario come quello degli intermediari e degli investitori. Ma da quando l’industria dell’asset management si è concentrata su questa opportunità, le iniziative hanno cominciato a venire alla luce. Bisogna considerare i tempi tecnici (che non possono essere compressi) di istituzione del fondo, dì confronto con le autorità dì vigilanza, per definirne le caratteristiche …

Ma come sono stati accolti i fondi di minibond?

Sul fronte della raccolta, ho riscontrato interesse da parte dì vari investitori istituzionali, soprattutto quelli più attenti all’economia del paese e del territorio. Altri, invece hanno manifestato una certa – chiamiamola così – ritrosia a essere i primi a muoversi. Da questo punto di vista, è auspicabile una presa di coscienza profonda da parte degli investitori, che serva a valutare nella giusta prospettiva queste iniziative. Inoltre, stiamo riscontrando (ma è abbastanza comune) che esiste una certa polarizzazione, un divario molto forte, tra quello che alcuni riterrebbero la remunerazione corretta dei minibond e il mondo imprenditoriale, che questi livelli di tassi non ci pensa neanche di pagarli…

Come mai?

L’imprenditore pensa di poter accedere al mercato obbligazionario a condizioni sostanzialmente analoghe a quelle del credito bancario. I.:investitore si trova di fronte a strumenti sostanzialmente illiquidi, con un certo livello di rischio e vuole un rendimento decisamente più elevato. È un circolo abbastanza vizioso, ma è un dato di fatto. Nel mondo emittente si fa un po’ di confusione tra un normale prestito a breve che, con l’attuale politica della Bee, ha interessi bassissimi e l’emissione di un’obbligazione a quattro o sette anni che dovrebbe avere un tasso interessante per gli investitoti.

E sul fronte degli investitori, invece…

Chi non vuole assumersi un certo tipo di rischio per cinque-sette anni su un titolo poco liquido, che alternative ha? Guardiamo quello che è successo, e sta ancora succedendo, sul mercato obbligazionario generale: nei titoli di stato, nei corporate bond, sia nel mondo investment grade sia in quello high yield, i tassi sono a zero e gli spread sono ai minimi storici. È un mercato che non sta più valutando il rischio in modo adeguato. Noi sgr e i nostri investitori finali ci chiediamo che cosa ci possiamo aspettare dal rendimento del portafoglio obbligazionario nei prossimi tre-quattro anni. Ecco cosa: poco rendimento e tanto rischio. In questa fase, vedo che il mondo emittenti e il mondo investitori si stanno un po’ avvicinando e quindi i quattro-cinque punti di differenza tra idesiderata degli uni e degli altri si riducono e fino a trovare un punto di equilibrio, intorno, penso, a tassi del 5%-7%. Un livello interessante per gli investitoli che hanno alternative minod su un mercato liquido. Gli imprenditori, invece, stanno iniziando a toccare con mano che solo il credito bancario non è più sufficiente per le loro necessità, soprattutto se vogliono avere prestiti per cinque-sei anni. Le banche non finanziano più a medio­lungo periodo: il sistema ha disintegrato gli intermediari di questo tipo, come il Mediocredito . Esiste, quindi, effettivamente un gap che alcune iniziative, come quelle dei minibond, cercano di colmare. È chiaro che il fenomeno potrebbe avere una grande esplosione nel momento in cui le aziende tornassero a fare un po’ di investimenti o la nostra economia dovesse iniziare ad andare un pochino meglio.

I minibond sono alternativi alla banca?

Assolutamente no, i minibond sono complementari al credito bancario egli istituti più attenti lo hanno capito. Oggi le banche possono proporre questa soluzione arricchendo la loro offerta di servizi alla clientela corporate. Certo, per accedere al mercato obbligazionario, le aziende devono cambiare mentalità…

In che modo?

Devono abituarsi a essere più trasparenti, capire che il rediconto deve sostanzialmente rispecchiare entrate e pagamenti . È del tutto evidente che se metà degli incassi non transita dal bilancio è poi difficile rappresentare la reale situazione dell’impresa. Le sgr, i bilanci li guardano, in azienda ci vanno, esaminano il magazzino, le linee di produzione …

Le obbligazioni delle Pmi sono più rischiose di altri?

Dalla nostra esperienza, il minibond ha un rendimento migliore senza presentare maggior rischi. I tassi sono alti perché si tratta di piccole emissioni, abbastanza illiquide, di brand scarsamente conosciuti e non perché l’emettitore è cattivo. Anzi nel 90% dei casi la Pmi italiana è più solida della grande azienda

E questo assicurazioni, fondazioni, fondi pensione l’hanno capito?

Vorrei che lo capissero un po’ di più. Gli istituzionali sono pieni di high yield, ma sostengono che i minibond sono illiquidi, sono qui sono là, il ragionamento di fronte alle novità che scombussolano il solito tran­tran. Ma su questi strumenti non si sta parlando di allocare il 20%-30% del fondo pensione, ma 1’1%-2%. E poi non guasterebbe un po’ di etica, di senso civico: si tratta di dare supporto a imprenditori, in genere familiari, che sono concentrati sul loro lavoro, si rimboccano le mani­ che, non mollano, vogliono crescere e creano occupazione. Investire nei minibond è aiutare la nostra economia, e siamo tutti italiani, no?

Clicca qui per scaricare l’articolo in formato pdf