finanziamenti innovativi alle imprese: minibond

Il governo Monti ha introdotto la possibilità per le piccole e medie aziende di emettere obbligazioni, facoltà che prima era consentita solo alle società più grandi. Contemporaneamente Borsa Italiana ha creato un circuito dove trattare questi titoli, che sono riservati solamente agli investitori istituzionali. Il rendimento può essere tra il 6% e l’8%, con un livello di rischio mediamente inferiore agli high yield.

Zenit SGR
sta lavorando a un veicolo di investimento in minibond, seguendo il mercato in prima linea fin dall’inizio supportando, insieme ad altri partner, la quotazione del titolo Caar, il primo vero minibond sull’ExtraMotPro. La società è pronta al lancio di un fondo caratterizzato da elementi inediti per il mercato italiano che sembra in prevalenza orientato verso strumenti di tipo private debt.

Zenit SGR
si propone di costruire un vero e proprio prodotto gestito, cioè non di tipo statico con limiti specifici alla concentrazione in singole emissioni, in settori merceologici e in aree geografiche. L’attenzione alla riduzione dei conflitti d’interesse e la possibilità di rendere dinamico l’investimento nel fondo sono, per Zenit SGR, vere priorità, perché questa tipologia d’investimento possa trovare l’interesse degli investitori istituzionali.
Le imprese target sono estremamente solide e competitive, selezionate tramite un rigido screening che permetterà di scegliere titoli con qualità paragonabile a investment grade che pagano un rendimento più elevato a causa del rischio liquidità sul secondario, del brand non conosciuto e del rischio del first mover in un mercato nascente. Come sottolineato da Marco Rosati, amministratore delegato, l’indipendenza di Zenit SGR permetterà la costruzione di un fondo di alta qualità che può costituire un’ottima opportunità d’investimento in uno scenario in cui i governativi sicuri offrono rendimenti poco attraenti e gli spread sui titoli high yield non garantiscono un equo premio al rischio.

Zenit SGR
sta inoltre promuovendo lo sviluppo del mercato su più fronti proponendosi come facilitator, da un lato tramite la creazione di un pool di banche con l’obiettivo di condividere le informazioni e facilitare le emissioni di qualità, dall’altro sviluppando accordi con società di rating, studi legali e operatori specializzati in modo da offrire e facilitare condizioni di accesso standard alle imprese e alle banche che emetteranno minibond in un’ottica di servizio chiavi in mano. La volontà della società è quindi facilitare la creazione di un mercato grazie al suo know how e alla sua indipendenza.
Secondo il primo nucleo di case d’investimento che operano in minibond, si legge su 361 GRADI di ottobre, è ancora abbastanza limitato, ma il bisogno dell’industria italiana di affrancarsi dal canale bancario è molto forte. Ugualmente gli istituzionali hanno la necessità di trovare impieghi remunerativi e solidi. Un punto di partenza quasi ideale.
Francesca Cerminara, responsabile bond e valute di Zenit SGR, sostiene che le aspettative di Zenit SGR, che sta entrando in questo mercato, sono di buon livello: nota che le necessità di credito tutt’ora insoddisfatte da parte delle medie aziende italiane sono molto ampie e che il canale bancario rappresenta ancora per il 90% delle società l’unica fonte di finanziamento. Su questa base le opportunità, acquistano un certo interesse.


C’è un mercato in Italia per questo tipo di prodotti? Le imprese italiane, tradizionalmente propense a finanziarsi attraverso il canale bancario, sono disponibili a utilizzare strumenti alternativi?

“In Italia le esigenze di finanziamento delle società vengono assorbite per quasi il 90% dal sistema bancario (nel Regno Unito si scende al 68% fino ad arrivare al 50% negli Stati Uniti). E’ stata proprio la presenza di un unico canale che ha messo in difficoltà molte imprese, quando gli istituti di credito, essendosi trovati loro stessi in crisi di liquidità, hanno tagliato gli impieghi. Il Decreto sviluppo offre quindi un’ottima opportunità per diversificare le proprie fonti di approvvigionamento. Affinchè questo nuovo strumento riesca ad affermarsi diventando una valida alternativa al prestito bancario (di norma concesso con scadenze più brevi) è necessario che attorno ad esso si crei cultura finanziaria, sia per gli emittenti che devono prendere confidenza con uno strumento e interlocutori differenti, sia per gli investitori che si troveranno a finanziare direttamente il vero tessuto economico italiano formato da piccole e medie imprese. La sempre maggior conoscenza reciproca potrebbe mettere in campo un discreto numero di capitali, si pensi che secondo uno studio di UnionCamere almeno 650 imprese nei prossimi 3 anni potranno affacciarsi sul mercato emettendo Minibond per un volume di circa 20 miliardi; ad oggi le aziende più piccole (emissioni al di sotto dei 15 milioni) hanno raccolto capitali per circa 50 milioni, facendo da apripista per tutta quella categoria di eccellenti imprenditori (il 58% di 3.200 medie imprese italiane analizzate da UnionCamere vanta una situazione finanziaria solida) interessati a finanziare un progetto di crescita aziendale”.

Pensate che si potrà sviluppare un mercato secondario rilevante per le emissioni di minibond?

“Il mercato deputato ad accogliere questa tipologia di titoli è il nuovo segmento, ExtraMotPro. Ad oggi, solo le emissioni più consistenti (sopra 200 milioni di euro) vantano un buon numero di scambi, mentre i titoli delle società più piccole sono stabilmente posseduti dagli investitori che hanno creduto nell’azienda in fase di primario. Affinchè il mercato dei minibond diventi una valida forma di investimento è necessario incrementare la liquidità del secondario, obiettivo ottenibile solo ampliando la base degli investitori. A questo bisogno rispondono i fondi specializzati di nuova o imminente costituzione, ma sarebbe auspicabile un coinvolgimento più ampio. Si pensi che i portafogli a reddito fisso, aggregati, di investitori qualificati, come fondi comuni, pensione, assicurazioni e gestioni patrimoniali, sono formati per circa il 55% da titoli di stato italiani, 18% da governativi esteri, e solo 27% da obbligazioni corporate (italiane per solo il 7%). Se l’interesse per questi nuovi strumenti crescesse a tal punto da spostare anche solo una piccola percentuale dell’investito, si creerebbe quel mercato ad oggi inesistente. Per far ciò è necessario quindi che le emissioni siano correttamente prezzate e che il management si presenti con una strategia efficace e chiaramente comunicata”.

Qual è oggi in media il premio liquidità offerto da questi strumenti?

“Per le obbligazioni esistenti sui circuiti internazionali si può valutare il premio liquidità come differenza tra il valore dei Cds (derivati che stimano il rischio credito) e lo spread offerto. In Europa un valore medio, per società BBB con scadenza 5 anni, è circa di 30 bp, mentre per l’Italia tra 40-60 punti base. Nonostante i Minibond oggi siano poco rilevanti dal punto di vista statistico, si può stimare un premio illiquidità di 50-100 bp, a seconda della scadenza dell’emissione”.


Quali sono i rischi che corre un investitore, viste anche le difficoltà dell’economia italiana in questa fase? Non c’è il pericolo che il tasso di default sia troppo alto da sopportare per un investitore istituzionale?

“Il rischio-rendimento atteso da noi stimato per i minibond è assimilabile ad un rating medio di BB, nonostante il pick up di rendimento offerto (6-9%). Applicando le stime delle principali agenzie di rating, una curva europea con queste caratteristiche prezza una probabilità di default compresa tra 0.5% e 1.7%, per questo la diversificazione in termini di numero di emissioni comprate diventa rilevante per la protezione del proprio portafoglio”.