Il risultato elettorale USA ai raggi X.

A meno di improbabili ribaltoni giudiziari, che peraltro il presidente Trump ha già minacciato, forse più per galvanizzare i sostenitori che per un’effettiva fiducia nell’efficacia di questa strada, il Democratico Joe Biden sarà il 46° capo di stato degli USA.

Biden deve la vittoria alla conquista di un pugno di stati con margini abbastanza risicati, certamente inferiori a quanto pronosticato dalla maggior parte dei sondaggi, motivo dell’incertezza che ha avvolto il risultato elettorale nei giorni immediatamente successivi al 3 novembre.

Ed in effetti, se i Democratici possono da un lato rallegrarsi per aver conquistato la Casa Bianca, le elezioni per il rinnovo del Congresso sono state ancor più combattute. Alla Camera, la maggioranza è rimasta al partito Democratico, che però perde almeno 5 seggi, mentre al Senato tutto si giocherà nei ballottaggi per i due seggi della Georgia, previsti all’inizio di gennaio, poche settimane prima dell’insediamento del nuovo presidente. I Repubblicani hanno perso un seggio, ma sono già arrivati a quota 50, per cui i Democratici – forti dei loro 48 senatori – possono solo sperare di pareggiare, nel qual caso conquisterebbero la maggioranza grazie al voto della vicepresidente Kamala Harris.

In caso contrario, il Senato rimarrebbe in mano al partito Repubblicano e quindi l’Amministrazione Biden si troverebbe obbligata a negoziare con l’opposizione l’attuazione del programma di governo e, in particolare, la cancellazione dei tagli alle imposte societarie effettuati da Trump nel 2017 e l’inasprimento delle aliquote più elevate dell’imposta sui redditi delle persone fisiche, promesse dal neo-presidente in campagna elettorale. Difficilmente queste misure passerebbero l’esame di un Senato controllato dai Repubblicani ed è tra i motivi per cui le borse hanno tutto sommato accolto favorevolmente l’esito della competizione, nonostante l’azione di governo rischi di essere più impastoiata.

D’altra parte, la necessità di trattative con l’opposizione significherà presumibilmente uno stimolo fiscale meno ampio di quello che si sarebbe potuto avere con un Congresso interamente Democratico: meno debito pubblico, quindi, ma anche un impulso inferiore alla crescita economica.

Tra i temi di politica interna su cui l’Amministrazione Biden si differenzierà verosimilmente dalla precedente ci saranno l’approccio alla lotta alla pandemia e una maggiore attenzione ai temi ambientali. Su quest’ultimo punto, va ricordato che Biden ha già annunciato di voler nuovamente ratificare l’Accordo di Parigi, dopo che gli Stati Uniti ne sono usciti da pochi giorni, a un anno esatto dall’annuncio ufficiale del ritiro da parte di Trump.

Il tema ambientale è uno di quelli sui quali ci si attende un riavvicinamento tra USA e Unione Europea, dopo la freddezza dell’Amministrazione Trump nei confronti dell’Europa, eccezion fatta per il Regno Unito.

Più in generale, la politica estera potrebbe essere un cavallo di battaglia per Biden, forte dell’esperienza maturata durante la vicepresidenza con Obama. La maggior incognita è relativa in questo caso alla Cina: dato per scontato che non vedremo più certi tweet alla Trump, ci si domanda in quale misura la nuova Amministrazione vorrà rovesciare le decisioni della precedente in tema di dazi e tariffe. Probabilmente l’impostazione sarà più multilaterale, tuttavia le istanze protezionistiche restano forti all’interno della società americana e il nuovo presidente cercherà di tenerne conto.

Sempre in tema di politica estera, sono cresciute negli ultimi anni alcune tensioni su scala regionale – il quadrilatero Iran, Arabia Saudita, Turchia e Russia da una parte, le recenti scaramucce tra Cina e India e con Taiwan dall’altra – rispetto alle quali l’Amministrazione Trump ha dovuto profondamente rivedere l’impostazione isolazionista che aveva assunto inizialmente e che costituiranno un banco di prova anche per Biden.

 

In sintesi, quindi, da gennaio avremo con ogni probabilità un nuovo presidente alla guida degli Stati Uniti, con uno stile certamente meno eccentrico di quello del predecessore, che però potrebbe trovarsi in difficoltà ad implementare immediatamente l’agenda di governo, almeno sui temi fiscali e sugli aspetti di welfare più controversi. Maggiore facilità potrebbe avere l’azione di politica estera, rispetto alla quale cruciale sarà l’atteggiamento nei confronti della Cina, e sui temi di maggior consenso, tra cui quelli ambientali sui quali verosimilmente potrà avvalersi di una sponda in Europa, grazie a un riavvicinamento che – detto per inciso – favorirà anche il raggiungimento di un più pragmatico accordo con il Regno Unito per la Brexit.